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Otranto Cattedrale

La Storia di Otranto

Nei secoli XI e XII Otranto è il centro, l’espressione più viva delle tensioni sociali, delle tendenze culturali, dei gusti, dei modi di pensare e vivere che travagliano la società meridionale. Questo processo di trasformazione, che coincise con il periodo più luminoso della storia della città salentina, è racchiuso nella cattedrale.
La concezione architettonica, lo slancio delle linee ci riportano a quella romanità simbolo della civiltà occidentale, ultima tappa, con la vicina nascita del gotico, verso una svolta nel cammino della ragione e della fede. Nel 1088, quasi a benedire questo spirito nuovo, gli arcivescovi di Bari, di Taranto, di Brindisi e di Benevento accolsero l’invito di papa Urbano II e del metropolita Guglielmo I a presenziare alla consacrazione della cattedrale.
Punto di congiunzione tra Oriente e occidente, obiettivo conteso dai dominatori più accaniti, Otranto segna così nella struttura della sua cattedrale la fioritura dello stile romanico, che divenne linea caratteristica di tutta l’arte pugliese. Un’arte che, soprattutto in questo caso, possiamo definire “popolare”, locale: la basilica otrantina riuscì infatti a riassumere, in una sintesi unica, diversi elementi stilistici – dal greco, al bizantino, al normanno – senza però tradire le istanze spirituali e culturali della gente salentina.
Visitando questo monumento, tra i più complessi del meridione, è bene, prima di entrare, soffermarsi ad ammirarne la facciata esterna, dominata dal rosone rinascimentale. Di forma circolare, esso è delineato dalle transenne convergenti al centro; è un motivo questo che rispetta i canoni dell’arte greco-araba, di cui si hanno numerosi esempi in Sicilia e in altre regioni del Mezzogiorno, specialmente nelle costruzioni del periodo aragonese. Il portale è una sovrastruttura barocca che risale al 1674, periodo del potestato vescovile di Gabriele Adarzo di Santander, il cui stemma domina pomposamente sopra l’epigrafe centrale che ricorda la data di esecuzione.
All’interno, la severità delle due file di colonne e l’ampiezza e le dimensioni del tempio, diviso in tre navate, lasciano sorpresi. La basilica è lunga 54 metri e larga 25. Il colonnato della navata centrale, formato da 14 colonne di granito levigato (due monolitiche: la quinta a sinistra e la sesta a destra), presenta una varietà di stili di rara bellezza. I capitelli di ordine romanico si intercalano, infatti, con quelli di ordine ionico con base attica e di ordine corinzio.
Il magnifico soffitto a cassettoni di legno dorato su fondo bianco e nero fu eseguito nel 1698, grazie alla munificenza del metropolita Francesco Maria de Aste che ordinò anche il paliotto in argento che decora l’altare maggiore. Il fregio, opera di orefici napoletani del Settecento, raffigura nel riquadro centrale l’Annunciazione: all’Annunziana, infatti, o Madonna del Crismatico è dedicata la cattedrale.
I sei altari posti ai lati della navata centrale (tre a destra: la Resurrezione, San Domenico di Guzmán e l’Assunta; tre a sinistra: la Pentecoste, di cui è rimasto un tratto dell’affresco originale del tardo Cinquecento, la Visitazione e S. Antonio di Padova) hanno subito varie trasformazioni.
L’impronta bizantina, oltre che negli affreschi della parete interna della facciata e nella navata del Sacramento, si può riscontrare nella bellissima “Madonna del Bambino”; l’affresco, che si trova nella navata destra, è protetto da una lastra di vetro. La delicatezza dell’esecuzione, i tratti semplici del volto ne fanno uno dei migliori esempi della produzione bizantina nel Salento.
La parte senz’altro più interessante è rappresentata dal mosaico pavimentale che ricopre tutta l’area della cattedrale. La sua lavorazione avvenne tra il 1163 ed il 1166, agli albori del regno di Guglielmo II.
L’opus tessellatum è una pittura eseguita con piccole tessere cubiche o dadi (“abaculi”) di pietra, pasta vitrea o terracotta. L’origine del mosaico è certamente orientale: i Greci, che gli diedero i nomi mousa, mousaicon, mousioma, furono maestri in questa tecnica e raggiunsero ottimi livelli artistici. Il lavoro di preparazione e di decorazione era molto accurato: sopra uno strato fresco di stucco venivano indicati i contorni delle raffigurazioni che risaltavano con effetti monocromatici o policromatici, dalle piccole tessere applicate sul fondo. Generalmente per i mosaici pagani vennero impiegate tessere di piccole dimensioni mentre per quelli cristiani si usarono tessere più grandi. Il mosaico pavimentale otrantino, opera del monaco salentino Pantaleone, è formato da tessere policrome di calcare locare durissimo e costituisce, dopo quello di S. Maria della Croce di Casaranello, un’opera d’arte davvero eccezionale. Infatti, è l’unico rimasto ancora completamente intatto nella penisola salentina. I mosaici di Brindisi, di Taranto e di Lecce, attribuiti allo stesso autore, sono quasi del tutto scomparsi. L’ispirazione stilistica è romanica, con contaminazioni bizantine; i temi delle raffigurazioni si ispirano, da un lato, alle fonti bibliche e, dall’altro, a temi letterari e mitologici dei cicli alessandrino, carolingio e bretone. Motivi conduttori dell’intera decorazione sono i tre alberi allegorici che affondano le radici all’ingresso delle navate e culminano nel fondo della cattedrale. Tra le loro ramificazioni l’autore ha disegnato la storia della vita umana: per questo motivo vengono chiamati “gli alberi della vita”. I due elefanti che sostengono l’albero della navata centrale rappresentano la forza fisica e morale a guida delle azioni umane: i disegni che seguono rappresentano infatti le conquiste più nobili e le aberrazioni più infami della storia. L’albero della navata sinistra, anch’esso sostenuto da un vitello allegorico, descrive invece l’epopea del Giudizio Universale; l’albero della navata destra, che porta alla cappella dei Martiri, propone temi diversi: il più interessante è quello mitologico di Atlante che sostiene il mondo.
L’esecuzione del mosaico pavimentale è in genere grossolana, rigidamente calcate nella parti anatomiche delle figure; tuttavia si nota una chiarezza semplice e vivace che, nella allegorie (dove i simboli pagani si sono cristianizzati), illustra efficacemente le istanze spirituali caratteristiche durante il Medioevo. Si passa quindi alla cripta, l’ambiente ricavato sotto la zona presbiteriale della chiesa, impiegata nell’epoca cristiana come zona funeraria. Essa risale al secolo XI, anteriore perciò alle cripte di S. Nicola di Bari, della cattedrale di Bitonto (secolo XII) e del duomo di Trani (secolo XIII). La pianta ha la classica forma semicircolare con tre absidi sporgenti e cinque navate. La cripta è sostenuta da 68 colonne monolitiche collegate da volte a crociera. Tutte sono in marmo grezzo o levigato di varie qualità (porfido, granito, cipollino, ecc.): sette sono interamente scannellate; sei, metà scannellate a spirale; cinque con croce latina nella parte superiore; due hanno alla base una sigla greca identica; una, con capitello a canestro, ha due lettere greche alla base.
Queste indicazioni fanno ritenere che molte di queste colonne siano appartenute a un tempio precristiano. I meravigliosi capitelli richiamano tendenze stilistiche diverse, da quelle tardo-antiche a quelle romaniche, dimostrando una continuità, senza fratture, delle varie forme artistiche che si sono succedute. Esse ripropongono le fonti classiche: dal dorico, al dorico-romanico, al corinzio, allo ionico. I temi delle decorazioni variano dai motivi floreali (i canestri di vimini o gli intrecci di foglie) a quelli simbolici delle sculture di figure tipiche dell’età romanica.   

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